Dopo quattro Leggi di Bilancio consecutive, alle Vittime del Dovere restano soltanto i Tribunali. Nessuno stanziamento, neppure simbolico, è stato previsto per le borse di studio destinate agli orfani e ai figli di chi ha perso la vita servendo lo Stato. È la denuncia netta e senza appello dell’Associazione Vittime del Dovere, che parla di un «dato politico ormai inequivocabile» e di un paradosso istituzionale che mette in discussione la credibilità morale dello Stato.
«Alla quarta Legge di Bilancio consecutiva di questo Governo – afferma l’Associazione – non è stato stanziato nemmeno un milione di euro per garantire il diritto allo studio ai figli delle Vittime del Dovere. È un segnale grave, che non può più essere derubricato a dimenticanza o a mancanza di coperture».
Nel corso dell’intera Legislatura, l’Associazione ha presentato proposte emendative puntuali, motivate e tecnicamente sostenibili, volte alla piena equiparazione alle Vittime del Terrorismo, al rafforzamento delle tutele fiscali, al collocamento lavorativo e alla protezione effettiva del diritto allo studio. «Ogni volta – spiegano – le nostre proposte sono state trasmesse formalmente, con soluzioni concrete e a costo contenuto per la finanza pubblica».
Non solo. Di fronte ai ritardi dello Stato nell’adeguarsi a orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati, l’Associazione aveva chiesto l’accantonamento di risorse dedicate per consentire il riconoscimento dei diritti in via amministrativa, evitando il contenzioso e producendo un risparmio per l’erario. «Abbiamo indicato una strada chiara – sottolineano – per evitare cause seriali e costi inutili per lo Stato».
Alcuni parlamentari hanno raccolto l’appello, presentando gli emendamenti in sede legislativa. Ma l’esito è stato, ancora una volta, deludente. «Secondo i resoconti parlamentari – denuncia l’Associazione – le proposte sono state dichiarate “accantonate”, una formula procedurale che nei fatti equivale a non volerle valutare nel merito».
Le poche tutele ottenute negli ultimi anni non sono state il frutto di una scelta politica, ma esclusivamente di sentenze. «I diritti delle Vittime del Dovere – afferma l’Associazione – non sono stati riconosciuti spontaneamente dallo Stato, ma conquistati citando in giudizio l’Amministrazione che i nostri familiari hanno servito fino all’estremo sacrificio».
È qui che si consuma quello che l’Associazione definisce «un paradosso etico e istituzionale di inaudita gravità». «Chi muore per lo Stato viene onorato con solenni Esequie di Stato – si legge – ma il giorno dopo vedove, orfani e invalidi diventano controparte processuale della stessa Amministrazione».
«Si preferisce affrontare contenziosi seriali, con costi per l’erario e congestione delle aule di giustizia – prosegue la denuncia – piuttosto che applicare automaticamente diritti pacifici, già riconosciuti dalla giurisprudenza, previsti dalla normativa dal 2006 e indicati già dal Tavolo Tecnico del 2015».
Eppure, sottolinea l’Associazione, «le risorse richieste sono marginali rispetto alla spesa pubblica complessiva, ma decisive per la dignità delle famiglie colpite». Per questo la denuncia è netta: «Non è più accettabile celebrare la memoria e rinviare i diritti».
Piantadosi: "Confidiamo ci sia spazio per un ripensamento responsabile"
La presidente dell’Associazione Vittime del Dovere, Emanuela Piantadosi, pur nella fermezza delle critiche, lascia aperto uno spiraglio. «Confidiamo che nel prosieguo dell’iter parlamentare vi sia ancora spazio per un ripensamento responsabile», afferma. «Ci auguriamo che le proposte accantonate vengano finalmente valutate nel merito, consentendo all’Esecutivo di colmare una disparità non più giustificabile».
«Il rispetto per le Vittime del Dovere – conclude Piantadosi – non può restare confinato alle celebrazioni formali. Se fosse reale, non sarebbe necessario vincere cause per ottenere ciò che dovrebbe essere garantito per legge. Uno Stato che costringe i propri eroi e i loro figli a difendersi in Tribunale ha già compromesso, prima ancora del giudizio, la propria credibilità morale».
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