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24 DICEMBRE 2020
www.adhocnews.it - Lettera aperta di un Carabiniere in epoca di DPCM di Valerio Borghese

Lettera aperta di un Carabiniere in epoca di DPCM

by Valerio Borghese

 

Egregio Presidente Professor Conte,

Le scrivo questa mia per esternarLe, da Carabiniere, il mio disagio per la situazione e le mansioni cui io ed i miei Colleghi delle Forze dell’ordine siamo stati chiamati in epoca di Covid 19.

In questo atipico 2020 di pandemia, e soprattutto in queste Feste natalizie, che seguono di poco la Festa della Virgo Fidelis, nostra patrona dell’Arma, ci sentiamo ogni giorno di più lontani dai cittadini.
Da quasi un anno ormai, le mansioni cui dobbiamo attendere sono quelle non più solo di controllo del territorio e prevenzione del crimine, cui le nostre prerogative di ufficiali di polizia giudiziaria ci richiamano, ma ormai di odiosa repressione dell’espressione di diritti costituzionali dei comuni cittadini italiani.
Diritti di libertà, di circolazione, di socialità.

Lo facciamo per il bene primario della salute? Sì, ma la deterrenza è, a mio modestissimo avviso, sbagliata.
L’eroe Salvo D’Acquisto si accusò di ciò che non aveva fatto, per salvare i propri concittadini.

Perse la vita, la sua vita, per gli altri.

Questo è l’esempio che abbiamo sempre davanti agli occhi.

E noi? Cosa chiedete a noi?

Signor Presidente del Consiglio, Lei con decreti che ci hanno insegnato di mera valenza amministrativa e non di legge, obbliga noi, operatori di sicurezza, a perseguire i cittadini invece dei criminali, a vigilare sulla loro privazione di libertà, a multarli  perché si recano magari senza giustificazione a trovare un parente anziano o la propria compagna. Ad essere inflessibili se qualcuno prende un caffè al banco del bar o senza mascherina, ovviamente. E a voltarci dall’altra parte se a camminare senza mascherina e ad assembrarsi sono senza tetto nelle stazioni, dediti a spaccio e rapine. Al limite della omissione di atti di ufficio.

Ma noi, smessa l’uniforme, magari dopo un servizio notturno, con quale consapevolezza guardiamo negli occhi i nostri figli, i nostri genitori? Gli stessi occhi di chi troviamo per strada, e non può giustificare un suo comportamento fino ad un anno fa assolutamente normale.

L’art. 575, co. 1, r.m., che riproduce l’art. 2, l. n. 382/1978 prescrive che i militari prestano giuramento con la seguente formula.
«Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina e onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni».

Ricordo il mio giuramento, è avvenuto pochi anni fa in forma solenne, alla presenza della Bandiera e del Comandante del corpo.
Il Comandante Generale dell’Arma era altresì presente. Spese parole significative nel richiamarci al nostro senso del dovere, della disciplina, del sacrificio. Nel solco di chi ci ha preceduto fino all’estremo sacrificio.

Mio padre, anch’egli Carabiniere, ha appuntato al mio bavero gli Alamari che significano appartenenza e servizio alla comunità.

Noi siamo punti di riferimento per i cittadini, li aiutiamo nei momenti più difficili, quando sono scossi, vittime di reati, dispersi, magari malati e soli.

E, invece, questo Natale noi dobbiamo ergerci a censori di innocenti che vogliono solo seguire le tradizioni ed i valori della nostra società, della nostra cultura.

Ieri in un servizio di pattuglia abbiamo dovuto redarguire e multare un gruppo di ragazzini che alle 21 si erano trovati insieme a ridere e a baciarsi.

Come tutti a quell’età.

Ed io, che sono un Carabiniere ed una madre, l’ho fatto, perché ho giurato di seguire le regole.
Ma mi sono vergognata, specchiandomi e riconoscendomi negli occhi di ragazzi poco più giovani di me, incoscienti ed inconsapevoli, forse, ma persone normali, senza vere colpe.
Ho elevato loro la sanzione, ergendomi a censore, consapevole che a quella età sono cifre inarrivabili, che peseranno sulle famiglie, che causeranno litigi e dissapori.
Il giorno di Natale. Un Natale rovinato.

Ho giurato di difendere le libere istituzioni; la libertà di esse, adesso, se mi è permesso, la vedo in pericolo.
I professori di diritto al corso della Scuola Marescialli, mi hanno sempre ricordato come uguaglianza e libertà siano i principi cardine della Repubblica. In quei due anni me li hanno inculcati. Come hanno fatto con il senso del dovere di doverli difendere.

E che, essa Repubblica ci chiami adesso, donne e uomini con le stellette, a disattendere quei principi e seguire gli ordini che siano in contrasto con i principi democratici, ecco, questo, lo trovo in conflitto con la mia scelta.

Questo è il mio disagio: sono un Carabiniere e sono una donna.

Comandante di uomini e responsabile della loro incolumità.

Ma soprattutto sono una sentinella delle libere istituzioni, una di quelli che in ultima analisi scende nelle strade, che mette la faccia nella applicazione della norme emanate dai palazzi a Roma. Norme che magari non condivide, norme che non capisce.

Lo farò, con lo spirito di servizio che abbiamo sempre avuto, ma con una paura nel cuore.

Ho visto Colleghi tornare con ferite da taglio o la testa sanguinante, con la tuta rotta e mai un lamento si è alzato. É il nostro lavoro, veniamo insultati, irrisi e ci dicono di non reagire. Non lo facciamo, perché  la stragrande maggioranza degli Italiani é con noi, ci stima e rispetta.

Ma ora rischiamo di diventare o di essere visti come loro nemici. E questa sarebbe una ferita difficile da rimarginare. Questa è la mia paura.

Io sono troppo giovane, non lo ricordo, ma mio padre mi ha raccontato della caduta del Muro di Berlino, che i VoPos, poliziotti della Repubblica democratica tedesca, difendevano ad ogni costo, sparando a chi tentava di scavalcarlo per raggiungere la libertà.
Ecco, io non voglio diventare una di loro, non mi sono arruolata per questo.

Non ci faccia diventare nemici del nostro popolo.

Con osservanza.

 

www.adhocnews.it : "Questa è  una Lettera immaginaria, fondata su fatti reali, e sul nostro profondo rispetto delle Forze dell’ordine e del loro servizio e sacrificio nell’adempimento quotidiano dei doveri d’ufficio".

 

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