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11 MAGGIO 2015
Il Tempo - «Lo Stato ci ricorda un giorno solo l’anno»

Dimenticati, rispettati un solo giorno all’anno, offesi dalle istituzioni. Sono i familiari delle vittime del terrorismo. Mogli, figli, fratelli e sorelle a cui le Brigate Rosse hanno portato via...

stampa-iltempo-20150513-b.jpgDimenticati, rispettati un solo giorno all’anno, offesi dalle istituzioni. Sono i familiari delle vittime del terrorismo. Mogli, figli, fratelli e sorelle a cui le Brigate Rosse hanno portato via quanto di più caro. Sono coloro che, dopo il Giorno della Memoria celebrato il 9 maggio, data che rammenta l’uccisione, nel 1978, di Aldo Moro e Peppino Impastato, nessuno ricorda più.
Emanuela Piantadosi, figlia del maresciallo Stefano Piantadosi, ucciso il 15 giugno del 1980 da un ergastolano, presiede l’associazione «Vittime del dovere». Raggiunta al telefono dal Tempo, afferma di condividere la rabbia di Ambra Minervini e sottolinea che la loro polemica non vuole essere fine a se stessa, ma ha lo scopo di smuovere le istituzioni per ottenere, ad esempio, che la legislazione, che sulla carta concede ai familiari delle vittime del terrorismo corsie preferenziali per il lavoro, venga semplificata; oppure «l’istituzione di un fondo in cui confluiscano gli introiti ottenuti da film o libri che si basano sulla vita di persone condannate per gravi crimini, così da tutelare la memoria di quanti hanno perso la vita nella lotta alla criminalità». Emanuela, però, propone anche che chi si è macchiato di delitti così gravi, venga «interdetto dai pubblici uffici» e non abbia la «possibilità di partecipare a iniziative patrocinate dalla pubblica amministrazione». Insomma, giudica «assurdo e paradossale che chi ha ucciso possa lucrare sul nostro dolore».
Anche Maria Maggi Dionisi, figlia del poliziotto Fausto Dionisi, ucciso dai militanti di Prima Linea il 20 gennaio 1978, è dalla parte della Minervini. Oggi Maria fa parte dell’associazione «Memoria», e anche lei è delusa: «Lo Stato ci tiene in disparte. I terroristi hanno un mucchio di leggi a loro favore, noi due. Il resto sono solo lungaggini burocratiche. Affermare che lo Stato, invece di stare dalla parte delle vittime del terrorismo sta dalla parte dei brigatisti, non è troppo lontano dalla verità. I terroristi hanno avuto tutto, spesso sono stati liberati rapidamente, hanno avuto soprattutto una seconda opportunità di vita. I nostri morti non l’hanno potuta avere e noi siamo ancora qui a penare».
Angelo Cellura è vicepresidente dell’associazione «Feriti e vittime della criminalità e del dovere». Nel 1993 alcuni mafiosi gli spararono, ferendolo al braccio e provocandogli una menomazione permanente. «Ormai in Italia – afferma - vengono ricordati più i carnefici che le vittime. Ci sono istituzioni che danno lavoro agli ex terroristi, Comuni che patrocinano loro iniziative. È umiliante». E per dimostrare che davvero lo Stato si dimentica dei suoi «figli», ricorda il giorno in cui è stato congedato a causa delle ferite: «Non c’era nessuno, né il dirigente del commissariato né il questore, solo il personale di segreteria. Una stretta di mano e nulla più».

Luca Rocca

Tratto da Il Tempo

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