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06 GIUGNO 2017
COMUNICATO STAMPA - UNA RACCOLTA FIRME PER DARE VOCE AGLI ITALIANI: CERTEZZA DELLA PENA A CHI HA INSANGUINATO IL NOSTRO PAESE

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Lunedì 5 giugno la prima sezione penale della Corte Cassazione ha reso pubblica la sentenza numero 27766 del 2017, relativa alle condizioni di detenzione di Salvatore “Totò” Riina, boss mafioso che dal 1992 è stato condannato a diversi ergastoli, arrestato dopo una lunga latitanza e in carcere da 24 anni. Riina, che oggi ha 86 anni, è malato e il suo avvocato ha presentato un’istanza al tribunale di sorveglianza di Bologna in cui chiede la sospensione della pena o almeno gli arresti domiciliari.

Il tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva escluso il differimento della pena per Totò Riina, precisando che dalle relazioni sanitarie presentate emergevano gravi condizioni di salute, ma non tali da rendere inefficace un intervento in ambiente carcerario poiché il «continuo monitoraggio» e gli episodi di crisi cardiaca erano sotto controllo in carcere e «lo stato di detenzione nulla aggiungeva alla sofferenza della patologia, essendo il rischio dell’esito infausto pari e comune a quello di ogni altro cittadino, anche in stato di libertà».

Infine, a sostegno del rigetto dell’istanza, i giudici di Bologna avevano presentato motivazioni che avevano a che fare con la notevole pericolosità di Riina e con le conseguenti esigenze di sicurezza e incolumità pubblica.

La Cassazione, con la sentenza n 27766, ha risposto invece annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna ritenendo le motivazioni addotte “carenti” e “contraddittorie” e invitando il Tribunale a verificare di nuovo, motivando adeguatamente, "se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità" da andare oltre la "legittima esecuzione di una pena".

In particolare la Cassazione ha sottolineato che la dignità dell'esistenza va rispettata anche in carcere, perché mantenere la restrizione di un soggetto, nonostante il decadimento fisico, può essere contrario al senso di umanità. Per cui, anche al detenuto così pericoloso da ritrovarsi recluso al 41-bis non può essere negato il diritto di morire dignitosamente.

Ci si domanda allora perché tale dignità non venga riconosciuta alle vittime, che nella morte come nella memoria, non vengono minimamente rispettate.

L’afflittività del carcere è ad esso connaturale e, sebbene non debba mai ricadere in tortura insensata – finendo altrimenti ad essere noi stessi alla stregua di tali  vili criminali – non può nemmeno diventare un sistema  facilmente eludibile  e sempre più fondate risultano le preoccupazioni circa i continui tentativi di smantellamento del 41 bis e di favorire la concessione dei benefici penitenziari.

Dopo le quotidiane manifestazione di umiliazione della rispetto della Memoria della Vittime, che hanno portato la nostra Associazione a diffondere attraverso il portale chance.org un’importante petizione a partire dal 2016: Petizione change.org Associazione Vittime del Dovere dice “Basta a mafiosi assassini terroristi sotto i riflettori chiediamo rispetto per le Vittime e per la dignità di ogni cittadino onesto - e dopo le grida di allarme relative al Disegno di Legge di iniziativa Governativa A.C. 4368 "Modifiche al Codice Penale, al Codice di Procedura Penale e all'ordinamento Penitenziario", che comprende alcune norme atte a destabilizzare le irrinunciabili basi del regime carcerario del 41 bis, dell’alta e della media sicurezza consentendo l’utilizzo di sistemi audiovisivi, a titolo esemplificativo skype, “per favorire le relazioni familiari” direttamente dal carcere, ci ritroviamo oggi a dovere affrontare un ulteriore colpo per la memoria delle Vittime.

La nostra Associazione, dopo numerosi comunicati diffusi nel corso degli ultimi anni e dichiarazioni di disapprovazione per le paventate concessioni a coloro che sono sottoposti al regime di 41bis e di alta sicurezza, ha deciso di restare in silenzio perché ormai non ci sono più parole per commentare questo ennesimo insulto all’intera Nazione.

Il silenzio a volte vale più di mille parole!

A questo punto sarebbe significativo offrire la possibilità a tutte quelle persone oneste e perbene - che sono la stragrande maggioranza degli italiani - di esprimersi su un tema così inquietante, al fine di dar voce all’integrità di fatto e di diritto che costituisce non solo durante le cerimonie di commemorazione. Facciamo un appello agli organi di stampa affinché raccolgano con una pubblica raccolta firme lo sdegno di tanti Italiani e il grido di dolore delle vittime.

Emanuela Piantadosi
Presidente Associazione Vittime del Dovere

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