Chi dona la vita per gli altri resta per sempre
I nostri caduti

Il sito www.vittimedeldovere.it raccoglie le note biografiche, dei caduti e degli invalidi, appartenenti alle Forze dell’Ordine, Forze Armate e Magistratura, che sono state inoltrate e autorizzate, anche per quanto attiene al trattamento dei dati personali, dai familiari dei caduti oppure dal diretto interessato, invalido.

Le informazioni relative alle Vittime del Dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata sono frutto di ricerche storiche, giornalistiche e amministrative di cui si citano sempre le fonti.

In larga misura, le biografie si compongono anche di notizie fornite direttamente dalle famiglie di chi ha dato la vita per lo Stato o dall’appartenente alle Istituzioni che ha perso la propria integrità fisica durante lo svolgimento dei compiti di servizio pubblico.

Le storie delle Vittime del Dovere vengono pubblicate con grande partecipazione, interesse e orgoglio, tuttavia, non forniscono alcuna garanzia di completezza o di precisione assoluta. Rappresentano un contributo importante per ricostruire la storia del nostro Paese e rendere onore alla memoria di uomini e donne che costituiscono il patrimonio etico della Nazione.

Ogni richiesta, precisazione ed integrazione dovrà essere indirizzata alla segreteria dell’Associazione Vittime del Dovere al seguente indirizzo segreteria@vittimedeldovere.it

Magistrato
GIROLAMO MINERVINI

Nato a Teramo nel maggio del 1919, entrato in Magistratura nel 1943, ucciso dalle BR il 18 Marzo 1980 su un autobus che lo stava portando in ufficio.

Nella sua lunga carriera di magistrato  aveva dedicato la maggior parte del suo impegno professionale allo studio della normativa penitenziaria e alle attività connesse agli istituti di pena, fino ad essere nominato – proprio due giorni prima della sua morte – direttore generale degli istituti di prevenzione e pena.

Già consapevole di essere nel mirino delle brigate rosse – il suo “dossier” era stato trovato tempo prima in un covo – non ha per un solo momento pensato di rinunciare all’incarico che, ne era certo, gli sarebbe costato la vita. Ai familiari  aveva detto che “in guerra un generale non può rifiutare di andare in un posto dove si muore” e aveva rifiutato la scorta per non sacrificare, insieme alla sua, la vita di altre persone: al questore di Roma, Augusto Isgrò, suo vecchio amico, che da tempo insisteva per fargli accettare la protezione armata, rispose: “non intendo far ammazzare tre o quattro ragazzi”.

Uomo modesto, ma fiero del proprio ruolo, ai vertici della carriera in magistratura aveva sempre impedito, a chiunque, di chiamarlo “eccellenza”: per lui “giudice” era parola alta che identifica una funzione di grande rilevanza e quindi non sostituibile. Nelle poche ore libere che i suoi incarichi gli lasciavano coltivava un fazzoletto di terra a Santa Marinella (RM), in compagnia del portiere dello stabile in cui abitava a Roma.

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